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IN VIAGGIO... Opere e blog di Luciano Rossi
La strada (1979)
Verso sera,
i montanari videro,
lontane,
comparire le ruspe.
Un punto all’orizzonte,
ancora senza rumore.
I ginepri odoravano
e stormivano lievi
le querce fanciulle.
Ma quando dura squarciò la prima carie
la giogaia ormai nera di tramonto,
mio padre ammutolì.
Solo allora le pernici volarono via,
i cani si accucciarono ai suoi piedi
e niente fu più come prima.
Mi strinsi bambino alle sue gambe
e lui guardò l’orizzonte anche per me
che non sapevo.
Qualcuno tornò dai campi
col suo carico d’erba,
graffiando la sera col tridente.
Scoteva la testa:
traverseranno il mio prato
disse
e non guardò nessuno passando.
Il suo sudore acre, rappreso al legno della cesta,
fu l’ultimo odore buono che sentii
prima che i camion scaricassero,
percotendo pesanti la mulattiera,
le loro rancide ferramenta ostili.
Le vecchie del villaggio
non uscirono di casa.
Sapevano che la loro pena non sarebbe mutata,
che la strada non le avrebbe portate in alcun luogo,
che l’oleandro sotto casa sarebbe morto di sete.
Morirono le vecchie
e morì l’oleandro.
Ieri
è morto anche mio padre.
La strada,
che la sua mano incerta
aveva tracciato sul catasto dei nostri campi più belli,
ha portato la sua bara
in un lontano loculo grigio
uguale a mille altri.
Da domani,
negli anni a venire,
un sole inutile
dalla scura carie dei monti
s’affaccerà ogni giorno sui vetri polverosi della sua casa,
traversando le persiane brecciate
ed abbattendosi sulle umide muffe indifferenti
delle mappe catastali.
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La cena a Castagnola
Si risveglia a la novena
il vecchio campanile
e viola planano i rintocchi
su prati d’aria leggeri.
È l’ora.
Di pipistrelli e rondini
si stende una tovaglia;
e sulla povera cena
spande la sera benedetta
una preghiera azzurra;
il pane ascetico
(nient’altro, e un po’ di latte)
profuma di bontà le nostre mani.
Zittiscono i tocchi radi.
La prima stella illumina
il cammino: e marciano mute
le ronde del silenzio.
Stringe la nonna,
come un rosario, dio
fra le sue mani scarne,
annodato al collo
un fazzoletto di pietà.
Con tocco di campana,
anche se stanco è il rito, a lei
torna ogni sera
come uno sposo il suono.
Ma già dorme il suo volto
di miele e
il quadrante della notte
sorride
e disegna le ore del suo sonno.
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Pulviscolo (1990)
Nella tua stanza ombrata, Padre,
scossi la luce che, scordata,
giaceva sul nostro libro di fiabe;
turbinando fuggì la polvere
sui dardi che il giorno obliqui
tracciava dalla persiana socchiusa.
Nei loro angoli le mute cose
un attimo appena
lo sguardo alzarono rinate.
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Sarò dimenticato (1989)
Sarò dimenticato dal mondo
per essere tornato ai miei prati così presto
ed aver amato lì cose da nulla
un fiore secco
l’umile lattuga
e questa casa
con gli occhi chiusi
da persiane stinte
(la luce ha un profumo
troppo forte)
Ricordo.
Cedette infine la porta
dopo inutili colpi ripetuti
e mi spalancò il suo buio
i suoi cari fantasmi
che raccolgono notti
di fosforo e gelsomini
fiori di sonno
dimenticati dal sorriso.
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Cuore di carta
Cuore di carta,
vergogna a me che t’allevai
con nitida penna e rattenuto fiato.
Potessi un giorno alfine calpestarti
con allegro cuore di bimbo,
a pezzi ridurti
o farne un aquilone.
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La pendola del padre (2010)
Giace in un canto abbandonata
La rotta misura del mio tempo.
Chiedo al ricordo se quell’ora è mia
Se ancora serbi i giorni miei perduti.
No, mi risponde.
Più non conta la pendola i respiri
Come sepolta da smarrite cose.
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Laevia gravia
Quando solo un fluire di ciottoli sarò
e indifferenti a me saranno le faccende brevi
avrò perduto te unico tempo
lieve compagno dei miei giorni gravi
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Stagioni
(2010)
Troppo tardi il cielo
Ci sorrise.
Lontane speranze
Ora ci detta
E non ha voce.
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Gelosia
soffro quando cammini
perché ti tocca il sole
soffro quando respiri
perché impudica
apri la tua gola al vento
soffro quando ti avvolge
l’acquazzone estivo
e ti fa le vesti trasparenti
e tu, civetta,
tu non ti nascondi
vetrine, lampioni, passanti
ogni cosa t’insegue,
t’afferra, ti sfiora,
ti ruba
ed io
io sono lontano
quando non sei con me
ogni istante è un sospiro
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