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A10 - La città di Cimabue

Basilica superiore d'Assisi. La Roma simbolica del 200


. La storia, accumulando pietra su pietra, stratifica le sue epoche, costruisce sulle rovine inghiottite dal terreno, disegna monumenti nuovi sopra gli antichi. E affastellata, sghemba, appare la sommatoria degli episodi, in cui ogni pietra contiene l'anima di chi l'ha abitata. Ovvia vi è, implacabile, l'idea del declino d'ogni cosa, organica e inorganica. Ma, anche, dovrebbe apparire quella della rinascita spontanea della natura sulle foglie marce dell'anno che precede. Ma tutto questo in Cimabue non c'è. Invano vi cerco la freschezza della gemma, la forma nuova della stagione che rinnova la veste. Osservando l'immagine, l'idea di un grande respiro progettuale non si vede. All'occhio moderno appare, sì, una crescita organica, ma quel che egli coglie è l'idea della selva, non del campo. Eppure cosa vediamo in questa selva? Un grande respiro di classicità che va oltre la fatiscenza (fatiscenza anche del nuovo). Cimabue doveva condensare simbolicamente, ma la città medioevale non era estranea a questa densità. Case addossate, strettissime vie, architetture a grappolo simbolico, come un agglomerato cono fasciato alla base da strette mura che lo tengono stabilmente unito. I colori caldi delle terre a rivestire torri, campanili, colonnati, bifore e trifore. Muschio. E su tutto un santo che vigila sull'Italia. Una penna nella mano sinistra. E nubi, forse. Ali. .

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