È inquietante che sia stata la stessa persona, l'imperatore Shih Huang Ti, sia a costruire la muraglia cinese, sia a bruciare tutti i libri scritti prima di lui. L'accostamento non sorprende; le due cose sono legate. La muraglia lo avrebbe protetto dai nemici esterni, i libri denunciavano le sue malefatte. In entrambi i casi l'imperatore, con i suoi editti, si proteggeva dalla morte. Libri e muro riguardavano l'immortalità . E lui sognava dietro di sé una dinastia immortale: tutti gli imperatori che gli sarebbero succeduti, avrebbero appartenuto alla sua stirpe.
Si dice anche che tutti i possessori dei libri, confiscati ed arsi, fossero stati condannati ai lavori forzati a vita, impegnati nella costruzione della muraglia.
Ma le sue giornate erano turbate da un tormento: lui sapeva che non sarebbe andata così. Un imperatore più forte di lui avrebbe valicato la muraglia, altri autori avrebbero scritto nuovi libri. Libri che avrebbero insegnato a valicare la muraglia.
Non sorprenda nemmeno che queste righe, che Borges non ha scritto, sui giorni di Shih Huang Ti, rivelino tanto la ricerca di una nuova misura della brevità , quanto la giusta forma della misura.