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A12 - Vita e opinioni di un giovane ateniese (da Luciano Rossi, Il vento e la legge, Clinamen)

È mattino, anzi l’alba, quando le cose cominciano; un’alba, questa volta, fredda e lattiginosa, che somiglia a certe lune bianche che da noi si vedon solo ogni tanto.

E l’aria intorno è d’argento, e d’argento sono i faggi nebbiosi, e la polvere del sentiero e della terra, e i sassi, che tondi, o più spesso brecciati, e stanchi della notte, chiedono al sole di dar loro il mattino, finalmente.

E il colore caldo dell’oro.

[….]

È dall’alba, che son qua, come ogni giorno. Ai margini del recinto, a guardar fuori. Da solo, a desiderar quel che non ho.

A ben vedere, sì; son sempre solo. E oramai parlo come una capra ginnasiale; ve ne sarete accorti pure voi. Soltanto nei giorni di lavoro mi allieta a quest’ora, qualche volta, la compagnia dei servi, che raccolgono le olive, se è stagione di messi. Ma d’estate, quando fiorisce il cardo e canta la cicala, allora solo raramente passan vicino al mio recinto, i servi, a scambiare qualche parola con me. E mi dicono della città dentro le mura. Ma di cose piccole soltanto. Ché altro non sanno, loro.

(Potessero avere anch’essi – dicono allora – come me, l’ombra di una roccia e un zufolo armonioso. Che giù in città non si respira).

Ma non vengono che poco.

Perché d’estate, a giorno pieno, gli uomini son stanchi e le donne ardono; e le capre d’Anito non sono ancora grasse e non vengono i servi a prender le migliori.

[...]

Ma oggi è giorno di festa, e altre son le presenze, qui sotto gli ulivi, nell'incertezza del giorno che rischiara.

Niente servi.

Sulla mia scena privata, adesso, non ci son che loro due; anime da greci antichi, che conversano nel tardo 2000 e passa, ma in un modo, sapete, ... e con dei temi, come se fosse il 400 avanti Cristo. Un teatro d’oggi, ma che pare quello d’Aristofane e di Amipsia. E di Esiodo, per le scene dei campi.

Come si chiamano?

Chi? I due personaggi della commedia che sono presso il recinto a conversare? Intendete loro? Il vecchio col corpo da Sileno e quel giovane che si atteggia a mediconzolo? Ah, ben curiosa domanda! E che v’importa di saperlo? Me l’aspettavo però; lo devo dire. Perché per un verso ... un po’ di ragione anche l’avete. Per raccontare, un nome glielo devo pur dare. E poi, che da me abbiano almeno quello, di grazia! Ché per il resto, una gran parte non gliela so dare.

E se li chiamassimo (chi ce lo può impedire?) Socrate l’uno e sofista l’altro? Insomma, due nomi così, basta che sia.

Che poi, il secondo, se vogliamo, non è neanche un nome.

(Ma un nome ce l’ha anche il sofista, come tutti, per la verità. E così vi fo promessa che scopriremo più tardi che si chiama Meleto, e che non è ateniese. Ma per il momento lui ci dev’essere ancora sconosciuto. È la prima volta infatti che lo vedo. E il suo nome ancora non lo so. Che sia, poi, un sofista l’arguisco solo dalle cose che ho finora sentito. Ma più tardi dovrò ben conoscerlo, ahimè, e anche il lettore. Un lettore, per ora pieno di perplessità. Una fra l’altre: come fa un pastore di gregge a distinguere un sofista da quel che dice? Ma anche questo verrà detto quanto prima, lo prometto, appena il concatenarsi del racconto lo vorrà).

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