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A11 - Frammenti, diari, riflessioni

Aggiornamento: 24 set 2019

La stazione

Il cameriere della Stazione, un ragazzo, si chinò verso il viaggiatore:

- Serve altro signore?

- No – disse lui.

E continuò a restare immobile. Seduto. Fissava la valigia. Immobile anche lei.

- Aspetta qualcosa forse?

- Sì. Di perdere il treno, ragazzo.

...

Avrei dovuto rispondere: - Non aspetto nulla. È che non ce l’ho più, una casa, io.

E invece risposi. – Di perdere il treno, ragazzo


L’Ufficio

Se non farai mai nulla, forse potrai morire ignorando la sua esistenza. Ma emetti un sospiro, uno solo, e dovrai denunciarlo all’Ufficio.

Solo che da principio non sai dov’è. Poi scopri che è in un palazzo dove nessuno ti guarda o ti risponde. Dove non ci sono indicazioni. Dove, di nessuna cosa, riesci a capire se sia obbligatoria o vietata.

L’unica parola che l’impiegato al banco pronuncia è: - Vado a chiedere.

Chi risponde è impossibile vederlo e opera in una stanza immaginaria e polverosa.


Il palazzo di giustizia.

Sei forte fin che sei ignorato. Fino a quel momento, ti senti invulnerabile. Sei irridente. Finora è toccato agli altri. Quelli che sono stati visti.

Dura poco, di solito. Una decina d’anni, non di più. Poi gira il vento e ogni cosa che avrai fatto, anche in passato, quando nessuno ti guardava, ma dove qualche volta per caso ti hanno visto, anche i gesti più insignificanti verranno computati.

Un granello di polvere e sei con la schiena a terra.

Convessa e dura come quella di un grosso insetto impotente, come quella di Gregor Samsa.

E non ti rialzi più.


L’impiegato

Per quanto infima possa essere la sua condizione, lui può stare dietro il banco. Il banco separa i luoghi del potere da quelli dell’impotenza. Il banco di qua è liscio, di là non si sa. Dietro il banco c’è lui e dietro di lui una seconda porta. Dietro quella, gli invisibili abitanti dei luoghi dove si insabbiano le cose.

Lui è l’avamposto. Sta nella garitta, di guardia. Tu, dietro al banco, non ci puoi andare. Lui sorveglia e ogni tanto sparisce dietro le quinte. Porta di là i tuoi documenti, la tua vita.

Dove sparirà per sempre.


La Giunta comunale

Quando vi giunsi, eletto dal popolo alla Giunta, divenni il più ignaro dei lacustri, ignaro fino all’imprudenza. Mi appellavo ad una logica di città, secondo il Mandato, in un paese lacustre dove la logica era altra.

- Quella logica noi non l’abbiamo mai usata, che idee!

Dall’altra parte si stendeva il deserto del lago, una palude di sabbie mobili, dietro il canneto. Non si poteva entrarvi; eppure i lacustri vi camminavano spediti, prima d’inoltrarsi nelle nebbie.

Di là, doveva pure esservi qualcosa.

...

Lo chiameremo Lago, il paese che non c’è. Puoi anelarvi, nel vago desiderio di bagnarti in lui. È fatto di persone che solo si comprendono fra loro. E se li senti parlare non dicono nulla. Nulla di comprensibile. Nulla di utilizzabile, nulla di vero. È il loro modo di espellerti.

Non riesci a capire dove si riunisce la Giunta. In quale bar, in quale casa, nel capanno dei pescatori.

Mi dicono:

- Saranno dispiaciuti che tu chieda dove puoi trovare la Giunta.


Il camion

Tesi le orecchie. “Il segreto della vita è tutto qui, stava dicendo il vecchio... insomma la soluzione... (passa un camion con prolungato fragore)... pensaci... pensa alle mie parole. Vedrai che la soluzione per star bene nella vita è tutta qui, in queste semplici parole”.

.


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