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A5 - Frana, irreparabile, il tempo

Aggiornamento: 30 ago 2019

Frana, irreparabile, il tempo. Lo si dice sempre anche da giovani quando la frana è lontana, ma allora è cosa che riguarda gli altri. Per lui invece, ormai... era sera sul serio. Sera per lui. E non poteva che accettarlo.

Uscì che era tardo pomeriggio. E camminò da solo per le vie basse, che dal Teatro, in ragnatela fitta, portano agli archi vetusti del mercato. Schivò piazza del Duomo e rasentò il muro di Franco il più possibile.

Camminava nell’ombra, quando c’era. Ogni anno che passava, la luce insolentiva sulle sue funzioni inerti sempre più.

Anche lui degradava, come tutto. Come il muro di Franco, che strusciava. E che gli apparve, quel giorno, ancor più sgretolato. Le radici dell’olmo e della vite ne disgregavano piano i conci lenti. Le pietre consistevano a fatica, si vedeva. Ed era come se fossero proprio le radichette ormai, e solo loro, a trarle insieme, a un compito che tuttavia non ricordavano più. Perché la struttura o principio informatore, non più finalizzato e intelligente, non bastava più a tenerne assieme gli organi e le parti. Che andavano per conto loro, debordando qua e là, sempre di più.

Era sera sul serio. Doveva riconoscerlo.

Una dolorosa sensazione e triste, la sua, però, perché gli pareva addirittura che non solo il muro di Franco, ma Fileti tutta, si avviasse allo sfacelo, a una fine oscena e non attesa. Perché se pur sensuale, la sua aria di fiore carnoso era ancor più densa quella sera, putrida quasi, e la si respirava a zaffate dolciastre. Come un fico caduto che, aperto nello schianto, mostri allo sguardo del passante un’opulenza matura ed indecente.

Il tutto stava ancora insieme, è vero, ma denunciava senza più illusioni una maturità avanzata che avesse doppiato da tempo la sua boa.

Un’atmosfera di decadenza, e di disfacimento pure, si annunziava inesorabile, venendo di poco a seguito di quella che era parsa sino a ieri, ai suoi occhi ingenui, una troppo florida pienezza, è vero, ma ancora capace di malia.

Come il breve agosto ed i suoi frutti opimi, ogni pienezza ha una breve stagione. Un attimo prima acerba e, subito dopo, già vi esala il suo passato tempo.

E di tal breve transito anche la pienezza di Adelphi era trascorsa. Stava accadendo in lui qualcosa di fatale.

Ruit irreparabile tempus, pensava, e porta i giorni con sé


Anche la frase antica gli ruiva, anzi ruinava, nella mente, e non la poteva fermare.

Aveva più poco, dunque, da vivere?

Pochi anni?

Si disse, con Borges, che ciò non importava ... qualunque destino, per lungo che sia, è fatto di un attimo ... ma non vi credette che un momento: voleva vivere ancora. A lungo, se possibile. Avrebbe voluto ... che so ... dieci anni ancora? Sì dieci anni gli sembravano una cosa giusta.

Ma come li avrebbe vissuti, quegli anni, ora che la resa non era più contraddetta in lui dalla scrittura, dall’esercizio avaro del lirismo e dell’intelligenza, quel po’ di rosso a bilanciare il grigio?

(l. r. - La scala di Shepard - p. 229)

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